Caparezza, Prisoner 709 recensione: impatto difficile, dal terzo ascolto è un grande Capa
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Caparezza, Prisoner 709 recensione: impatto difficile, dal terzo ascolto è un grande Capa

Milano Music Week Caparezza

Caparezza: Prisoner 709, recensione: primo ascolto difficile, il secondo anche: dal terzo in poi è Capa-Show.

Ritorno in grande stile per Caparezza: Prisoner 709 è un album destinato a dividere i critici e gli estimatori del rapper pugliese, ma tra le rime del disco ci sono tante perle difficili da cogliere e da apprezzare al primo ascolto. Quando brano più orecchiabile e radiofonico per attirare l’attenzione c’è, ma il vero senso dell’album richiede pazienza.

Caparezza, Prisoner 709: recensione

Avvio con Prosopagnosia e i suoi ritmi quasi tribali. Premiata la collaborazione con John De Leo. Le rime ci sono e sono quelle giuste, la ricetta non è quella vincente. Non del tutto almeno. In seconda posizione la title track, una di quelle più orecchiabili e radiofoniche, una di quelle in stile Capa. Il ritornello non resta nella testa, le staffilate del testo sì. La caduta di Atlante resta in scia e convince più delle precedenti. Forever Jung è forse la prima perla dell’album. Il titolo la dice lunga, il pezzo è una conferma. Confusianesimo è una raccolta di virtuosismi di stampo rap, una lezione da apprendere con carta e penna alla mano per chi si avvicina al genere. Il testo che avrei voluto scrivere è uno di quei brani che innamora dall’inizio sia i fans storici sia coloro i quali pretendevano un’innovazione da parte dell’artista pugliese. Una Chiave è la conferma dell’impressione che occupa la mente: il disco è un crescendo di emozioni e coinvolgimento. Ascolto facile, accessibile a tutti ma Capa non si svende. Ti fa stare bene rappresenta il giro di boa: siamo a metà dell’album e l’ascolto procede ormai senza difficoltà. La canzone non brilla, non rientra nell’Olimpo di Caparezza ma si fa ascoltare.

Migliora la tua memoria con un click vanta la preziosa partecipazione di Max Gazzé e il risultato non delude le aspettative: entrambi buttano sulla traccia il meglio di sé. Larsen forse non brilla ma ha una cadenza ipnotica: si fa ascoltare dall’inizio alla fine. Sogno di potere proietta nei bassifondi dell’America, sul palco del rap underground, poi si perde un po’. L’uomo che premette prova ad alzare l’asticella prima del gran finale… e ci riesce. Minimog abbassa i bit e i toni ma non la qualità mentre l’Infinito punta a un pubblico più ampio e stride un po’ con il resto del disco. Autoipnotica è il preludio, è il tappeto rosso prima di Prosopagno Sia! E qui scattano gli applausi…

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ultimo aggiornamento: 19 Settembre 2017 14:00

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